Introduzione

C

on riferimento alla letteratura scientifica accademica è possibile affermare che il sardo o lingua sarda è una lingua neolatina o romanza, cioè figlia della lingua latina introdotta dai primi soldati romani giunti in Sardegna dopo la conclusione della prima guerra punica. Con l’arrivo di questi primi soldati romani inizia la diffusione della lingua latina in Sardegna che purtroppo ha sostituito lentamente la lingua sardiana parlata dai sardi indigeni. La lingua sarda odierna è dunque parte della famiglia delle lingue neolatine o romanze al pari del portoghese, dello spagnolo, del friulano, dell’italiano, e del romeno. In più, all’interno di questa famiglia linguistica il sardo esprime grandi somiglianze con le lingue romanze occidentali. 

Essendo attualmente una lingua di minoranza o regionale, il proibizionismo dell’utilizzo scritto della lingua sarda è giunto a conclusione tra il 1997 ed il 1999 quando la Regione Autonoma della Sardegna e lo Stato italiano hanno approvato le prime leggi storiche per la tutela del sardo. Attualmente il sardo è parlato ancora dal 68%-70% dei sardi, più o meno un milione e duecentocinquantamila persone (senza prendere in considerazione i sardi emigrati). 

Le prime ricerche sulla linguistica sarda sono iniziate nel XVI secolo con l’avvocato cagliaritano Sigismondo Arquer e proseguite fino ai nostri giorni attraverso i secoli con famosi linguisti quali: Gerolamo Araolla, Matteo Madao, il Can. Giovanni Spano, i tedeschi Friedrich Diez, Gustaf Hofmann, Wilhelm Meyer-Lübke, e a seguire Pier Enea Guarniero, Ernst Gamillscheg, Hugo Schuchardt, l’ebreo Graziadio Isaia Ascoli e Giovanni Campus. 

Ma è grazie alle ricerche scientifiche del tedesco Max Leopold Wagner (1880-1962) e a seguire del sardo Massimo Pittau (1921-2019) e del catalano Eduardo Blasco Ferrer (1957-2017) che giungiamo a conoscere meglio le caratteristiche della lingua sarda odierna con strumenti e opere scientifiche.

Ecco qui di seguito alcune notevoli differenze tra la lingua sarda e la lingua italiana: 

1.Formazione del plurale. Il sardo (come pure il francese e lo spagnolo) forma il plurale dei nomi aggiungendo una s al singolare, mentre l’italiano cambia la desinenza:
sa mesa – is mesas = il tavolo – i tavoli

2. Articolo determinativo. Il sardo (su, sa, is, sos, sas) lo deriva dal latino ipse-ipsa-ipsum, mentre l’italiano (il, lo, la, i, gli, le), come pure il francese e lo spagnolo, lo deriva da ille-illa-illud

3. Articolo determinativo come pronome. Il sardo può utilizzarlo anche in veste di pronome, contrariamente all’italiano:
cali mela bolis? Sa birdi = quale mela vuoi? Quella verde
su chi t’apu nau = ciò che ti ho detto

4. Articolo indeterminativo plurale. Il sardo ha questa forma per indicare un numero indefinito mentre l’italiano usa il partitivo o un numerale collettivo:
nci fiant unus cantu òminis = c’erano degli uomini
nci-ndi fiant unus centu = ce n’erano un centinaio

5. Vocali toniche. Il sardo mantiene sempre le vocali originarie latine (che fossero brevi o lunghe) mentre l’italiano modifica in vario modo le vocali brevi:
lat. PĬRAM => pira = pera;
lat. DĔCEM => dexi = dieci;
lat. FŎCUM => fogu = fuoco;
lat. NŬCEM => nuxi = noce.

6. Accusativo preposizionale. Il sardo segna l’accusativo di persona (o essere animato) per mezzo della preposizione a: apu biu a Giuanni = ho visto Giovanni.

7. Passato remoto, futuro semplice e condizionale presente analitici. Mentre in italiano sono tempi sintetici (espressi da una sola parola) in sardo sono resi da perifrasi con gli ausiliari essi (essere) e ai (avere):
est torrau, fut torrau = tornò;
at a torrai = tornerà;
iat a torrai = tornerebbe.

8. Avversione alla costruzione passiva:
a cussu dd’ant mortu = quello è stato ucciso;
sa mela si-dd’at papada su pipiu = la mela è stata mangiata dal bambino.

9. Numerali ordinali analitici. Si formano con i numerali cardinali preceduti da articolo e preposizione (gli aggettivi *segundu, *tertzu, *cuartu, ecc sono degli italianismi da evitare):
su de duus òminis = il secondo uomo;
sa de tres fèminas = la terza donna, ecc.

10. Singolare al posto del plurale indefinito. Specialmente quando indica quantità indeterminate di frutta, verdura o insetti il sardo usa il singolare mentre l’italiano usa il partitivo e/o il plurale:
innoi no nc’at musca = qui non ci sono (delle) mosche;
dd’ant cassau furendi meloni = l’hanno sorpreso a rubare (dei) meloni.

11. Assenza di articolo nella comparazione e dopo preposizione:
callenti che fogu = caldo come il fuoco;
nc’est andau che cani scutu a fusti = è scappato come un cane bastonato;
nc’est artziau a monti = è salito al monte;
portat su berretu calau in ogus = ha il berretto calato sugli occhi.

12. Superlativo assoluto e relativo. Il sardo non ha un suffisso specifico (it. –issimo, da evitare gli italianismi *bellìssimu) per il superlativo assoluto ma semplicemente ripete due volte l’aggettivo o aggiunge l’avverbio meda:
mannu mannu o mannu meda = grandissimo
Per il superlativo relativo ha una costruzione molto particolare che non separa mai il nesso prus + nome + aggettivo (o frase relativa):
sa prus picioca bella de sa bidda = la ragazza più bella del paese;
sa prus dii chi mi seu spassiau = il giorno che mi sono divertito di più

13. Relativo analitico (sintagmatico non paradigmatico). In sardo l’unica costruzione conosciuta del relativo indiretto è quella marcata dalla sintassi (solo chi + costituenti pronominali diversi, ddi, ndi, nci), poiché non ha le diverse forme paradigmatiche dell’italiano (che, cui, il quale). Quindi le forme ricalcate sull’italiano non sono genuine (*a cui, *de cui, *a su cali, *de sa cali, ecc.):
un’òmini chi ddi fut morta sa pobidda = un uomo a cui era morta la moglie
su cadàsciu chi nc’apu postu is camisas = il cassetto in cui ho messo le camicie

14. Gerundio al posto dell’infinito:
apu biu a Giuanni torrendi = ho visto Giovanni tornare (che tornava)
apu intèndiu a su pipiu prangendi = ho sentito il bambino piangere (che piangeva)

15. Infinito nelle subordinate:
no bollu a mi nai fàulas = non voglio che mi si dicano bugie
apu acapiau beni sa sachita po no s’aberri = ho legato bene il sacchetto perché non si apra

16. Ordine dei costituenti. Molto particolare nel sardo la posposizione dell’ausiliare alla fine della frase interrogativa diretta o la posizione iniziale del participio che deve marcare l’azione:
comporau sa mela as? = hai comprato la mela?
arriciu scedas malas de su fillu at? = ha avuto cattive notizie dal figlio?
fuiu si-nc’est? = è scappato?
acabbau chi iat, si-ndi fut andau = dopo che ebbe finito, se ne andò;
at nau ca no, e andau si-nc’est = ha detto di no e se ne è andato.

17. Particella gei rafforzativa o antifrastica. Praticamente intraducibile in italiano:
gei ti-ddu nau! = sì che te lo dico!
gei nci torru cras a domu tua! = non ci torno di certo a casa tua!

18. Lessico autonomo
conca = testa, domu = casa, trigu = grano, meri = padrone.

I primi documenti scritti della lingua sarda sono del secolo XI e questo fa pensare che essa sia nata nel Medioevo dal latino volgare (imperiale) sviluppatosi in Sardegna per le ragioni indicate all’inizio. È dunque una lingua unica ma policentrica in quanto espressa nel parlato popolare e nella tradizione letteraria in due forme, ovvero in due macrovarietà diatopiche in quanto ne conosciamo anche i luoghi dove queste sono parlate. Il sardo, dunque, possiede due macrovarietà: il sardo campidanese nel Capo di sotto dell’isola e il sardo logudorese/nuorese nel Capo di sopra dell’isola (soprattutto nella Sardegna centrale, nel Logudoro-Meilogu e nei comuni di Luras e di Olbia). Ma sappiamo pure dalla linguistica sarda che nella zone centrali dell’Isola confinanti con il Gennargentu (Mandrolisai, parte della Barbagia di Seulo e alta Ogliastra) dove le due macrovarietà si mescolano tra loro, si è sviluppato un sardo cosiddetto di Anfizona o di mezzo il quale però non ha fatto scaturire alcuna varietà omogenea. 

Le differenze esistenti tra sardo campidanese e sardo logudorese, per quanto attiene la fonetica ed il lessico, scaturiscono dal differente processo di latinizzazione della Sardegna e quindi dal modo in cui si è diffuso il latino introdotto dai soldati romani. Infatti, unitamente a quanto sostiene la teoria scientifica delle cosiddette ondate di latinizzazione o diffusione della lingua latina (cfr Wagner, Pittau e dopo E.B. Ferrer), ad iniziare dal 238 a.C. è giunta in Sardegna prima una forma repubblicana (più arcaica o conservativa) tra il III secolo ed il I secolo a.C. e dopo, con la rottura dell’unità del latino stesso, un latino volgare o imperiale (più innovativo) ad iniziare dal secolo I fino al secolo IV d.C.. Possiamo qui dare alcuni esempi: la forma sardo campidanesa genna o ‘enna (dal latino imperiale jenuam) corrisponde nel sardo logudorese alla forma janna (dal latino repubblicano januam); alla forma sardo campidanese ìlixi (dal latino imperiale ilex) corrisponde il sardo logudorese èliche/èlighe (dal latino repubblicano elex). Il sardo logudorese è dunque in generale più conservativo ma nello stesso tempo si differenzia paese per paese, per contro il sardo campidanese è più innovativo ma nello stesso tempo più omogeneo. 

Dunque, concludendo, da questo momento avrà inizio un excursus storico per vedere più da vicino la lingua sarda e per conoscerla meglio.

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