Perché la doppia norma

 [Estratto direttamente da: Comitadu iscientìficu pro su Sardu Standard; SU SARDU STANDARD; Alfa Editrice; pag.: 24-34.]

PREMESSA

La lingua sarda: una e a due gambe

I. Le due macro-varietà del Sardo: il Campidanese e il Logudorese. Sentire comune, tradizione e mondo scientifico

Vi è una forte coerenza, nell’ambito della cosiddetta unitarietà e varietà del sardo, tra sentire comune, scienza e tradizione letteraria.

È infatti convinzione comune dei sardi che il sardo sia un’unica lingua, ma anche che tale lingua si caratterizzi per due varietà assai distinte: il campidanese (camp.), parlato nel sud dell’Isola, e il logudorese (log.), parlato nel centro nord. È della stessa convinzione il mondo scientifico internazionale, che tali differenze ha addirittura codificato. Infatti, esso, dopo aver accolto la teoria di M.L.Wagner enunciata nella Stratificazione del lessico sardo (1928), secondo la quale due ondate di latinità, una arcaica e una recenziore, avrebbero favorito la biforcazione del latino di Sardegna e poi la nascita delle due menzionate varietà diatopiche, ha definito le stesse diasistemi linguistici (Blasco Ferrer, Storia della lingua sarda 2009: 36-38, 61, 117-119, 183, 234). Anche nel campo letterario, sacro e profano, vige da sempre questa codificazione diasistemica. Nell’XI secolo, la Carta di donazione di Orzocco-Torchitorio (ca. 1066-1074) e il Condaghe di San Pietro di Silki (post 1073-1180), sono, rispettivamente, in camp. e in log. Tale bipartizione è ben presente nei 63 catechismi stampati fra il 1555 e il 1922 (Turtas 2006: 99-101), come pure in Vincenzo Porru e Giovanni Spano per i loro rispettivi  dizionari, il Dizionariu sardu-italianu (1832), in camp., e il Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo (1851-52), in log., e in Vincenzo Ulargiu, autore dei manualetti per la scuola, Messi d’Oro del Campidano per le Scuole Sarde-Meridionali o Campidanesi e Voci Argentine del Logudoro per le Scuole Sarde-Settentrionali o Logudoresi (ca. 1923-1925). E così anche nella letteratura moderna: per citare due soli esempi, il romanzo Po cantu Biddanoa (1987) di Benvenuto Lobina è in camp., Mannigos de memoria (1984) di Antonio Cossu è in log. I poeti improvvisatori sono andati oltre, creando, ognuno per la propria varietà, un olimpo letterario, che, come verrà detto, non è solo la presa d’atto dell’esistenza delle due varietà, ma anche la loro koinè. Anche la RAS ha tradotto il proprio Statuto, Carta de Logu de sa Sardigna (1999), in camp. e log.

II. Le ragioni della proposta di uno standard con due norme.

Il ruolo della lingua materna

Questa proposta di Sardo standard tiene in debito conto e rispetta i percorsi storici, linguistici, culturali ed economici verificatisi in Sardegna negli ultimi due millenni, che hanno imposto al sardo e, prima ancora, al latino, un movimento in direzione ora di una divisione, ora di una unificazione. Un esempio di divisione lo cogliamo nel comportamento della lingua latina in Sardegna. Questa lingua verso il I secolo d. C. subì in tutta la Romània vistosi mutamenti fonetici, divenendo, se ci è consentita l’espressione, più moderna. Anche in Sardegna il latino si modernizzò, ma non nel Capo di Sopra (Barbagia), dove si mantenne antico. L’esempio più eclatante ci è fornito dalla velare occlusiva sorda latina [k], come in centum [‘kentum], che si trasformò nel Capo di Sotto (Campidano), come nel resto della Romània, nella palatale affricata sorda [tʃ], centum [‘tʃentum]. Il Capo di Sopra invece non fu coinvolto nel fenomeno di palatalizzazione e mantenne intatte le sue occlusive velari sorde [k]; e dunque, dalla lingua latina, che in Sardegna era già divisa così, in due varianti, non poteva che scaturire un sardo con due varietà, una del Capo di Sotto che dice centu e una del Capo di Sopra che ancora oggi dice chentu. Un esempio, al contrario, di spianamento delle differenze dialettali lo cogliamo nell’opera infaticabile che i cantadoris e le cantadoras, sia campidanesi, sia logudoresi, portano avanti da oltre un secolo e che ha dato il risultato straordinario di creare, nella loro sterminata letteratura, un solo camp. e un solo log. Ora, quest’opera di smussamento delle differenze dialettali (campidanesi da un lato e logudoresi da un altro), è ciò che è comune oggi alla storia linguistica della Sardegna, o, meglio, è il percorso comune che sta effettuando oggi la lingua sarda nei due Territori, del Capo di Sotto e del Capo di Sopra.

Le differenze tra le due varietà, acuite dall’assenza di unità politica e differenze  geografiche e quindi economiche, culturali e sociali, sono ancora oggi assai profonde. Su questo contesto si abbatte quindi come un macigno la scelta, da parte della RAS, della Limba Sarda Comuna (LSC), pubblicata il 18/04/2006 solo in lingua italiana e presentata come un esperimento in uscita (“Adozione delle norme di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta in uscita dell’Amministrazione regionale” [Deliberazione n. 16/14 del 18/04/2006, oggetto, p. 1], “da utilizzarsi in via sperimentale per l’uso scritto in uscita…” [Deliberazione, p. 2]) di una lingua che è una “varietà linguistica di mediazione” (p. 5). Creare dunque in laboratorio una lingua comune si è rivelata una grave ingiustizia verso i parlanti la varietà camp., ai quali è stato sottratto il diritto di poter scrivere in una varietà vicina alla lingua materna, poiché la LSC è, in sostanza, vicina alla lingua materna di chi parla log. (e suppergiù anche nuorese-baroniese), ma non  di chi parla camp.; minimizzare sulla gravità della scelta della LSC da parte della RAS, affermando che tanto è una lingua solo in uscita significa non aver capito (o simulare di non avere capito) che la lingua usata dalle istituzioni non può essere troppo lontana dalla lingua materna usata dai cittadini. Ogni volta che la RAS usa il termina limba, anziché lìngua, rivolgendosi a tutti i sardofoni, calpesta la lingua madre di chi parla camp. e persiste nell’apartheid linguistica, scordando che il diritto all’uso della lingua madre è diritto fondamentale tutelato da Convenzioni internazionali e dalla Costituzione italiana.

La nostra proposta prevede, invece, che la RAS e altre Istituzioni, ogniqualvolta usino il sardo, per restare nel nostro esempio, usino il sardo-lìngua e il sardo-limba.

III. La base dello standard del Sardo:

La lingua dei poeti improvvisatori e la loro azione unificatrice

Prima di enunciare i principii guida della nostra proposta dobbiamo innanzitutto chiedere venia fin da ora a chi legge se utilizziamo il termine dialetto che, a nostro avviso, è il risultato finale di una scelta, spesso politica, che relega in secondo piano una parlata a discapito di un’altra. Useremo quindi tale termine solo nei casi in cui la parola parlata, che noi preferiamo, non ci sembra ad esso tecnicamente sovrapponibile.

Diciamo quindi che se oggi esistono un camp. e un log. letterari sovradialettali, cioè una produzione letteraria che rispettivamente tutti i campidanesi e i logudoresi capiscono, apprezzano e percepiscono come espressioni loro, in forma e in sostanza letteraria, e inoltre di essi ne hanno, all’occorrenza, le competenze attive in quanto lingua materna, questo (come già detto sopra) è dovuto all’opera infaticabile e plurisecolare dei cantadoris/-es/-as, che sono riusciti nell’opera ciclopica di creazione di una lingua, spianandone incessantemente le differenze dialettali.

Sappiamo che il camp. e il log., come tutti i sistemi linguistici, si presentano divisi in tante parlate, come, per citare qualche esempio, quella di Monserrato, Teulada, Uta, Cagliari; e quella di Ploaghe, Bonorva, Ozieri, Silanus, Orgosolo, Nuoro e così via, parlate che tecnicamente sono definite dialetti. Il dialetto è una parlata usata in un territorio piccolo e chiuso. In Sardegna, per essere ancora più chiari, ogni paese ha il suo dialetto, che comincia nel centro abitato e termina nel suo territorio.

Sappiamo pure dalla storia che una parlata, qualche volta, riesce, per motivazioni che possono essere politiche e/o culturali a uscire dal ristretto luogo di origine e a diffondersi in un territorio più vasto divenendo così lingua. Così, per motivi politici, è accaduto che le parlate di Parigi e Madrid divennero rispettivamente francese e spagnolo, poiché le corti, francese e spagnola, risiedevano in quelle città. Per l’italiano, invece, in mancanza di unità politica dell’Italia, emerse, grazie al suo prestigio letterario, il toscano, che fu imposto politicamente prima dal Regno di Sardegna e poi dallo Stato unitario nel 1861.

Il discorso, per il sardo, è simile all’italiano. Tramontate le istituzioni giudicali tra il XIII e XV secolo, si è dovuto attendere l’azione culturale, esclusivamente culturale, dei poeti improvvisatori.

Ora, si potrebbe obiettare, la letteratura sarda non è rappresentata solo dalla produzione de is cantadoris/-as e sos cantadores/-as. Certo questo è verissimo, così come è vero che altri poeti e prosatori, che hanno prodotto letteratura scritta, hanno più spesso utilizzato la varietà del loro paese, con gradi più o meno marcati di “normalizzazione” grafica e fonetica verso le varietà dei poeti improvvisatori. Ma dobbiamo ricordare che solo questi si sottopongono, da oltre un secolo, al giudizio del pubblico. E il pubblico, apprezzando questo genere letterario ha legittimato, de facto, le due parlate sovradialettali che sono divenute norma, e che i poeti improvvisatori, grazie al loro prestigio, dovuto al forte e perdurante apprezzamento del pubblico, hanno diffuso, nelle loro zone linguistiche di competenza.

Inoltre, che il camp. e il log. si pongano in una posizione sovradialettale rispetto alle parlate dei paesi e delle città, si evince anche da altri aspetti, che non vanno sottovalutati: i giovani poeti improvvisatori imparano l’arte della cantada usando quella norma linguistica, della quale hanno indubbiamente una competenza attiva che non hanno invece per l’altra norma. Altro aspetto importante è la coniazione di espressioni, ormai diffuse, quali cantada campidanesa (o logudoresa), cantai in campidanesu (o in logudoresu), in campidanesu si narat ‘meda’ e no ‘mera’.

Si tratta dunque di espressioni dalle quali emerge chiaramente che nella gente vi è la consapevolezza che il camp. e il log. non sono le parlate di un villaggio o di una città bensì le parlate di precisi Territori linguistici che comprendono tutti i paesi e le città che in essi insistono e, comprendendoli, si pongono, rispetto ad essi, in una posizione sovradialettale.

Anche un altro aspetto comportamentale dei sardo-parlanti ci rivela di essere di fronte a una lingua, e cioè il fatto che, come per gli italiani, i francesi, i tedeschi ecc., che in prevalenza ascoltano (dai mass media) e leggono (dai libri e giornali) la loro lingua standard (italiana, francese e tedesca) ma raramente la parlano, in quanto per l’uso orale preferiscono tornare al loro dialetto, anche per i sardi il rapporto con la lingua (camp. e log.) è limitato all’ascolto (delle cantadas) e alla lettura (di libri), mentre al momento dell’uso orale ritornano alla parlata del proprio villaggio.

A conti fatti le due norme esistono e sono già diffuse. Noi crediamo che prendere in considerazione, con alcuni cambiamenti, la lingua creata dai cantadoris/-as e cantadores/-as significhi davvero rispettare il sardo di tutti e la cultura di tutti, poiché la maggior produzione letteraria è stata fatta nelle due varietà.

Dunque scegliere le due norme significa andare incontro a una storia e a una letteratura grande e veritiera.

Oreste Pili