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Stefano Cherchi: la lingua sarda come segno di identità

La lingua identifica un popolo, ne traccia la cultura, rendendo il sentire di ciascuna comunità diverso da ogni altro. La lingua sarda, in particolare, è al crocevia tra l’essere considerata una lingua “vera e propria” e un dialetto usato in occasioni informali o in comunità periferiche e rurali. Il dibattito su questo tema è sempre aperto e si continua a discutere soprattutto per ciò che riguarda l’introduzione della lingua sarda nelle scuole.

Stefano Cherchi, che divide la sua vita tra la professione di cardiologo e la sua passione per questa lingua – che insegna e diffonde attraverso numerose attività e importanti pubblicazioni – ci parla dell’importanza dell’insegnamento ai più piccoli del sardo originario e ci spiega quale sia, ad oggi, il rapporto tra l’italiano e la lingua dell’Isola.


La situazione tra lingua sarda e lingua italiana è di diglossia piuttosto che di bilinguismo: ci spiega la differenza?
Pensi al perché la redazione pubblica questa intervista in italiano e non in sardo come avrei voluto: la diglossia è la compresenza di due lingue nella comunità, con ruoli sbilanciati: l’italiano usato in tutti i contesti di comunicazione scritta e orale, formali ed informali, il sardo ormai rinchiuso nella sola quotidianità orale familiare; il bilinguismo è la perfetta parità e dignità delle due lingue in tutti gli usi e i contesti sociali scritti e orali.

Il sistema linguistico sardo è divisibile in due macrovarietà, cioè logudorese e campidanese: per questo l’Acadèmia de su Sardu onlus, di cui lei fa parte, propone il doppio standard? Quale finalità ha?
Posto che nel sistema sardo c’è un continuum di variazione che rende difficile tracciare delle divisioni precise fra varietà perché i diversi fenomeni linguistici seguono linee di demarcazione molto intricate fra loro (le isoglosse), ciò non toglie che molti elementi ad aspetto prevalentemente bipolare hanno creato una storia letteraria scritta e orale (poesia, prosa, teatro, i cantadoris) espressa nei secoli in due varietà piuttosto diverse fra loro. In un contesto in cui il livello di conoscenza della lingua è molto scarso specialmente tra i più giovani, uno standard che si allontani troppo dalle parlate locali (le uniche che la maggior parte della gente conosce) ha poche possibilità di essere accettato; a questo fine ci sembra quindi molto più facile codificare le due varietà storico-letterarie del sardo.

Cosa pensa dunque della LSC (Limba Sarda Comuna) voluta dalla Regione Sardegna nel 2006?
Credo che come puro strumento ortografico per i documenti in uscita della Regione (unico compito per cui fu concepita) debba essere migliorata; non è comunque proponibile oggi per un’oculata pianificazione linguistica che voglia far riapprezzare e riprendere l’uso della lingua ai cittadini. Ci vorranno forse 15-20 anni di presenza costante del sardo nella società per pensare ad uno standard unico ufficiale per tutti gli usi che presuppone di necessità la conoscenza delle varietà principali del sardo da parte di tutti.

Oggi l’insegnamento del sardo nelle scuole non è obbligatorio: la Regione finanzia i progetti proposti dai singoli istituti. Cosa ne pensa?
È una politica miope e dal fiato corto. La crescita di tutta la società sarda passa anche per la rivitalizzazione linguistica, se si pensa agli aspetti economici prodotti dalle nostre peculiarità culturali e storico-artistiche, anche a fini turistici. L’ingresso del sardo in tutte le scuole, se saprà coinvolgere anche i parenti anziani che ancora parlano sardo, sarà cruciale perché la lingua non si estingua per cessata trasmissione intergenerazionale. C’è forte bisogno di ricucire questo trait d’union perso tra generazioni: molti che conoscono il sardo infatti lo considerano un dialetto, spesso si vergognano di usarlo in pubblico e non lo trasmettono ai figli.

Per la scuola materna ed elementare io stesso ho pubblicato un libro didattico illustrato.

Il suo libro, rivolto ai più piccoli, Is primus milli fueddus / Sas primas 1000 allegas in sardu dà spazio a parole sarde originarie riferite a oggetti legati alla natura e alle tradizioni isolane: qual è l’intento?
Accanto alle parole di larghissimo uso che rientrano nell’esperienza quotidiana ho voluto anche recuperare molte parole ormai quasi sconosciute che si rifanno alla casa, al lavoro, al cibo, all’habitat. È un percorso di apprendimento della struttura fondamentale della lingua e del lessico basilare del sardo nelle due macrovarietà che gli insegnanti, con la tecnica dei campi semantici, potranno allargare a piacimento per arricchire il patrimonio linguistico dei bambini.

Se scompare la lingua, scompare l’identità e la cultura di una comunità? Le chiedo di esprimere, magari in sardo, il suo auspicio sul recupero e la valorizzazione della nostra lingua.
Ant nau ca unu pòpulu chi perdit sa lìngua acabat de essi pòpulu e ca dònnia pòpulu est cun sa lìngua sua etotu, sa prus aina manna de s’identidadi, chi fraigat su sentidu suu de su mundu e de sa vida, diferenti de dònnia àtera cultura. Seus a mesu tretu, depeus detzidi intra de lassai de essi pòpulu sperdendi-sì in d-un’àteru pòpulu e un’àtera cultura, o de si pinnicai apari torrendi-sì a cuberai su chi si fait sardus in su mundu. Depeus sciri a chini seus po no si fai apetigai prus, ca pruschetotu po cussu ant circau de si-ndi leai sa lìngua nosta.

Si dice che un popolo senza lingua non possa essere definito tale: i sardi devono decidere se “sperdersi” in un altro popolo e in un’altra cultura o se recuperare ciò che li identifica nel mondo e la lingua sarda è lo strumento che può ricordare loro chi sono.

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